Ghost Kitchen, la ricetta della ristorazione per sopravvivere al Coronavirus

ghost kitchen

Come ci ha insegnato il buon Charles Darwin, nel mondo naturale non sopravvive la specie più forte, ma quella in grado di adattarsi meglio all’ambiente.

Oggi la “specie a rischio” è quella dei ristoratori: non solo le misure di contenimento hanno costretto a interrompere le normali attività, ma l’orizzonte dei prossimi mesi sicuramente non si prospetta roseo. Nella migliore delle ipotesi bisognerà far fronte ad una riduzione dei posti a sedere nei locali per rispettare le regole di distanziamento. Nella peggiore, l’onda lunga della paura del contagio potrebbe far passare a molti ospiti la voglia di mangiare fuori, provocando un crollo della domanda.

Come possono dunque i ristoratori affrontare a questa crisi senza precedenti?

Una possibile soluzione si intravede nelle ghost kitchen, le cucine fantasma.

Cosa sono le Ghost Kitchen

Quello delle cucine fantasma (anche chiamate dark kitchen) è un trend già consolidato all’estero, in special modo – manco a dirlo – negli Stati Uniti.

Si tratta in pratica di veri e propri ristoranti, con chef e brigata di cucina, senza posti a sedere. Ad essere rivoluzionario è il modello di business delle ghost kitchen: la mancanza di sala permette infatti di risparmiare sui costi di gestione – e, in caso di apertura, anche sui costi di arredo – e investire invece sulla qualità degli ingredienti e su macchinari professionali all’avanguardia, capaci di migliorare il prodotto finale.

Ghost Kitchen e delivery, l’antidoto della ristorazione al virus

In questi mesi di quarantena il food delivery ha registrato numeri da capogiro. La piattaforma Deliveroo ha registrato solo nel mese di marzo un incremento del 40% delle richieste di iscrizione, mentre un sondaggio di Just Eat ha recentemente rivelato che circa il 60% degli intervistati ha ordinato cibo a domicilio o da sporto durante la quarantena.

E probabilmente questo è solo l’inizio: il virus sta cambiando le modalità di consumo e di utilizzo dello spazio pubblico, spostando la vita sociale al riparo tra le mura domestiche.

Molti ristoratori si stanno già adattando. Milano anche in questo caso fa da capofila: nel capoluogo lombardo, dove già negli anni passati erano comparse le prime dark kitchen made in Italy, sono molte le realtà (anche stellate) che hanno iniziato o inizieranno a breve ad operare con cucine laboratorio. Solo per citarne alcune: Via Archimede Gastronomia di Quartiere di Luca Guelfi, Scapece Gastronomia, Burgherino, Il Pastaio, la catena Poke House…

Creare una ghost kitchen

Per i gestori che avevano in mente di ampliare il business, aprire una dark kitchen può essere la scelta vincente non solo per far fronte alla crisi attuale, ma anche per prosperare nel futuro. Come già detto, dedicare tutto il budget alla cucina professionale permette di investire davvero nella qualità e offrire prodotti in grado di competere alla grande nel mercato del delivery.

E chi invece ha già un ristorante di stampo classico e vuole reinventarsi? Nessun problema, anche le cucine tradizionali possono essere adattate per diventare laboratori fortemente indirizzati al delivery (nel rispetto delle distanze di sicurezza necessarie).

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In questo periodo noi di Emmegi stiamo lavorando fianco a fianco con i ristoratori per aiutarli ad orientarsi nell’acquisto dell’attrezzatura adatta all’asporto, ma anche per aiutarli a ripensare il proprio modello di business. Per questo mettiamo a disposizione sessioni di consulenza gratuita (a distanza) per tutti i professionisti del mondo Horeca. Se sei interessato, contattaci!

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